Il film inizia con una voce fuori campo, quella di un improbabile cow boy che introduce la storia di Drugo.
Drugo è un hippie pacifista – tra l’altro si professa autore della Dichiarazione di Port Huron, la prima, non la seconda –, che vive a Los Angeles in modo sgangherato tra partite di bowling, con i suoi compari Donnie e Walter, e molti, moltissimi, white russian. Si sposta a bordo di una Ford Torino del ’73, come viene descritta da lui stesso ‘è verde con qualche macchia color ruggine qua e là’. Drugo generalmente veste molto easy, accappatoio/vestaglia, maglietta, pantaloncini corti e sandali di gomma. Ogniqualvolta bevva il suo cocktail preferito finisce immancabilmente con l’intingere la sua folta barba nel liquido.
A causa del suo vero nome, che è Jeffry Lebowski, viene scambiato per il sig. Lebowski, un filantropo milionario. Due ‘bravi’ fanno irruzione nella sua casa, sollecitandolo a pagare un debito che la moglie avrebbe contratto, ma il fatto di essere single gli suggerisce che i conti non tornano.
Qualche battuta sarcastica (oserei dire geniale) gli costa una macchia di urina sul tappeto, che a suo dire ‘dava davvero un tono all’ambiente’.
Sulle note di quel ‘Shallalalalala’ – The man in me di Bob Dylan – verrà a crearsi una intricata quanto grottesca parodia del genere poliziesco-noir, che ha come genesi la sopraccitata macchia. La trama farebbe invidia a qualsiasi sceneggiatore di hard boiled, ma il contesto e soprattutto i personaggi, con i continui rimandi a stereotipi (Drugo è l’hippy fattone, Walter il reduce del Vietnam ‘psuedo-ebreo’, Donnie viene sempre e subito zittito) fanno si che questa storia appaia come assurda e paradossale (assurda è la scena in cui Drugo ascolta una cassetta che contiene la registrazione di una partita di bowling, ma se ne potrebbero citare un’infinità ndr).
Il risultato è un film geniale e divertente, un capolavoro firmato dai fratelli Cohen.
Perché alla fine non si può non amare la figura di Jeffry ‘Drugo’ Lebowski e non si può fare a meno di pensare che forse vivere così, in pace col mondo (ovvio, pisciatappeti a parte), potrebbe anche essere meglio che passare una vita a rincorrere i successi e i luccichii.